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Contro i cretini

Non si tratta solo di ignoranza delle forze governative Italiane, ma semplicemente di cretineria. Fino a quando gli elettori voteranno dei cretini?


In questo bizzarro momento storico capita praticamente ogni giorno che qualche esponente del governo italiano scriva o dica qualcosa inciampando in catastrofi linguistiche o culturali. Noi della “élite radical chic” (cioè noi che leggiamo almeno un libro all’anno… l’asticella si abbassa sempre di più…) tendiamo alla derisione e allo scoramento nel vedere persone che non sanno le cose elementari e pensano di saper governare l’Italia.

Siamo nelle mani come ha detto recentemente Luca Sofri di un governo di dilettanti, di incapaci, anche umanamente lontani da un grado minimo di cultura. Siamo tutti bravi a sottolineare l’ignoranza della storia (“Francia democrazia millenaria”), della politica (“Pinochet in Venezuela”), dell’italiano (“la politica ha avuto la migliore”), delle politiche migratorie (“il Franco Africano favorisce l’immigrazione”), della geografia (“il tunnel del Brennero”), della biologia (“l’uomo è fatto d’acqua per oltre il 90%”), della economia (“i tassi dei mutui non dipendono dallo spread” e “il caldo fa aumentare il PIL”), della grammatica (“il migrante è gerundio, quando migri sei un migrante”), degli affari internazionali (“il presidente Ping”), etc.

Il problema è però più serio. Se prendiamo gli asini, i più scemi della classe quando eravamo alle medie, e li incarichiamo di pensarci loro c’è un problema, ma è anche palese che la quota di asini e di scemi della classe alle medie stia salendo, e che il problema non sia quindi solo di chi votiamo, ma anche di chi educhiamo. L’ignoranza è una minaccia intrinseca alla democrazia. Genera superstizione, pregiudizio ed errore e impedisce che ci sia una visione chiara del mondo. Platone credeva che fosse più che una minaccia: pensava che caratterizzasse le democrazie e che l’ignoranza avrebbe condotte inevitabilmente alla anarchia e, alla fine, alla tirannia.

Le democrazie liberali dell’era moderna, con il suffragio universale, hanno aumentato l’educazione pubblica nella speranza di far crescere una cittadinanza informata. Eppure oggi, data la persistenza e la gravità dell’ignoranza collettiva (nonostante – o forse grazie – alla diffusione di internet) l’ideale di un elettorato illuminato sembra solo una illusione e negli ultimi anni abbiamo assistito all’ascesa di una cultura dell’ignoranza. Forse l’aspetto più evidente di una cultura dell’ignoranza è l’estensione dell’ignoranza intenzionale. L’ignoranza intenzionale può implicare la resistenza all’apprendimento, la negazione di fatti rilevanti, la non conoscenza di prove rilevanti e il rifiuto di ricevere informazioni. Tale ignoranza viene solitamente mantenuta al fine di proteggere una precedente credenza, una ideologia, una dottrina religiosa, etc. Quando gli ignoranti volontariamente sono messi alle strette da prove concrete, affermano il loro diritto individuale a credere in qualsiasi cosa scelgano di credere. Non importano più i dati, le analisi approfondite e lo studio, ciò che conta sono soltanto le sensazioni e le convinzioni personali.

Una caratteristica correlata alla cultura dell’ignoranza è il rifiuto delle competenze. La teoria e la pratica della democrazia liberale hanno sempre sostenuto l’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza individuale, rifiutando l’autorità e la dipendenza. Si può anche credere all’esperienza del medico, pilota o ingegnere (anche se a disagio); ma si è scettici sulle opinioni dell’economista, dello scienziato del clima o del critico musicale. La democrazia è, come ha descritto John Dewey, un clima morale in cui ogni persona può contribuire alla costruzione della conoscenza; ma non implica che ogni persona possiede la verità. Inoltre, non è necessario conferire autorità politica agli esperti; stiamo parlando di autorità epistemica – l’autorità della conoscenza, della abilità, dell’esperienza e del giudizio – che viene portata dagli esperti. Per Dewey, una persona per partecipare ad una Democrazia dovrebbe avere questi quattro requisiti: alfabetizzazione, competenze culturali e sociali; pensiero indipendente e  predisposizione a condividere con gli altri.

Ad un certo punto, la saggezza della folla diventa la celebrazione dell’ignoranza. Teorie del complotto, speculazioni selvagge, affermazioni da bar, “fatti alternativi” diventano non solo patrimonio degli elettori, ma anche degli eletti. Il politico che ignora la politica, la legge e la storia è visto come la persona che “farà le cose”. Alcune figure pubbliche portano la loro ignoranza come un distintivo d’onore.  Alla base di tutti questi fattori c’è la perdita del rispetto per la realtà. Nel 2016 l’Oxford Dictionaries ha incoronato la post-verità come parola dell’anno. La post-verità è una affermazione non provata e che fa affidamento sull’emotività invece che sul raziocinio. Nella post-verità la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della effettiva veridicità dei fatti raccontati: in una discussione caratterizzata da “post-verità”, i fatti oggettivi – chiaramente accertati – sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica rispetto ad appelli ad emozioni e convinzioni personali.

Cosa ha portato, dunque, il “popolo” a votare ignoranti che spesso esibiscono la loro ignoranza come un trofeo? Il popolo vota i suoi simili, e si compiace delle loro incapacità, per potersi sentire superiore? Il popolo vota ignoranti per consolarsi che i problemi non abbiano soluzione? Il popolo vota in modo ideologico disinteressandosi su chi siano i candidati? Il popolo vota per spirito di identificazione? Il popolo vota per protesta contro l’establishment politico? Ci possiamo spiegare perché sono stati eletti in tanti modi, ma, in tutti i casi, la soluzione che essi hanno rappresentato è analoga a quella di chi, avendo il mal di testa, scegliesse la soluzione radicale di tagliarsela.

Il populismo ha due caratteristiche principali. In primo luogo, offre risposte immediate e apparentemente ovvie a problemi complessi. Secondo, afferma di rappresentare la “gente” onesta ma oppressa contro una élite corrotta e distante. I social media (grazie anche alle fake news) forniscono la piattaforma perfetta per questa narrazione. La disinformazione indotta dagli algoritmi dei social media, le così dette echo chamber, che censurano le opinioni che non ci “piacciono”, rinforzando i nostri pregiudizi, dimostrano che la rivoluzione del web è fallita. Semplicità ed emozione sono gli elementi essenziali per la pubblicità e sono alla base della comunicazione populista. La predisposizione culturale è quindi affidarsi alla pancia: reagire senza riflettere, non filtrare, ignorare, urlare, non avere dubbi e semplificare.

Aver sdoganato l’ignoranza come virtù non è una visione o una previsione ma la fotografia della realtà. Il Parlamento italiano già oggi è composto in gran parte da “sorteggiati” che nulla hanno a che fare con il compito che li aspetta. Una massa di ignoranti, politicamente parlando ma non solo, ha preso in mano il Paese senza avere titoli, brevetti o capacità. Sia beninteso, la cultura, quella professorale e degli esperti, “tecnici” o competenti, in politica non garantisce nulla. Se non la si possiede però, anche ogni idea di trasformazione radicale della società diventa demagogica e velleitaria.

Secondo l’effetto Dunning-Kruger, le persone intelligenti sono critiche, soprattutto con se stesse, sovrastimando i propri limiti. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti, non capendo le loro deficienze. Il politico cretino governa male, contro gli interessi di tutti, ma continua ad avere consenso in contrasto con la irrazionalità collettiva di scelte individuali utilitaristiche, secondo La legge del free rider, teorizzata da Mancur Olson. D’altronde, proprio le preferenze elettorali di una collettività, come ha dimostrato il premio Nobel Kenneth Arrow, sono “irrazionali”, e portano a scelte subottimali: si chiama teorema di Arrow o paradosso di Condorcet. Di paradosso in paradosso, ecco che queste orde di imbecilli, avrebbe detto Eco, hanno trasformato la democrazia in governi di ignoranti.

Il problema è che manca una cognizione culturale, scientifica e non ideologica alle scelte politiche. La cultura che ai populisti fa difetto è quella cultura che si sedimenta nelle abitudini e nella sapienza pratica delle generazioni e che dà una visione delle cose coerente e sistematica. Non si tratta solo di ignoranza, ma semplicemente di cretineria. Ovvero non rifletterci, non avere consapevolezza di cosa si sta facendo. Non avere una visione di lungo periodo e non capire le interrelazioni che regolano la realtà.

Ora, i sostenitori di questo genere di classe politica possono anche  sostenere che la cultura non sia importante per governare, e che si possa governare da ignoranti, e rivendicare anzi l’ignoranza, propria e di chi eleggono (“sono come me che non so le cose”). Ma quando cominceranno a dover dire che non sia importante l’intelligenza, e che si può governare da cretini, e rivendicare anzi la poca intelligenza (“sono come me che sono scemo”), saranno disposti anche a quello?

La risposta non è scontata dato che negli ultimi anni l’intelligenza nei politici non è più vista come una virtù e  la stupidità è non è  più un insulto. “Stupido” sta per “autentico”, “sincero”, “simpatico”. “Intelligente” è il contrario, è Lucifero, è Mefistofele, è il male. Molti non si preoccupano che il politico sia ignorante: temono che sia intelligente.

Si è spesso detto che l’ignoranza in politica non è stupidità. Ora è sempre più difficile distinguere le due cose. C’è qualche scaltro politico, che gioca sull‘ignoranza intenzionale fingendosi ignorante per acquistare popolarità, ma bisogna cominciare a pensare che per la stragrande maggioranza dei politici ora al governo sia la stupidità che produce ignoranza. Al governo ci sono dei cretini non semplicemente degli ignoranti.