riflessioni

Una domenica di fine inverno


E’ un giorno assolato di febbraio e io sono sul lungomare di Clontarf nella baia di Dublino, le ombre sono allungate e la luce è quella di un teatro di posa allestito per una pubblicità pop; nel mio campo visivo ci sono le Poolbeg Chimneys, delle signore che in tuta camminano veloci, un cartone di fish & chips vuoto sul prato che la brezza fa rotolare, e la linea azzurra del mare, di un celeste cupo che mi ricorda il cielo delle Dolomiti. E’ stata una giornate di lunghe passeggiate a Wicklow. Il mio corpo è stanco, ma la mia mente ha ancora bisogno di aria fresca prima di tornare a casa.
Prima di venire a Dublino non mi ero mai chiesto quali fossero le ragioni profonde per cui un individuo attraversa la vita da solo, non si costruisce una famiglia, non cerca relazioni stabili, non ha figli eppure, nonostante tutto questo, non sia assolutamente definibile come una persona a cui manchi qualcosa. Nell’apoteosi della mia presunta solitudine, inseguita come un valore più che una necessità, io mi spingo a indagare altre solitudini perché mi insegnino come comportarmi. In realta’ anche durante i miei sei anni di fidanzamento sono sempre stato solo. E per questo so cavarmela. Non ho problemi su come passare il tempo o le notti, mi piace scrivere, leggere, chiacchierare, di tanto in tanto con uno sconosciuto. Frequento associazioni, pub, coinquilini, colleghi. Con il gruppo dell’international dinner continuo a organizzare cenette e escursioni. Forse sono innamorato. Eppure non sono mai stato solo come da quando sono venuto vivere a Dublino.
A volte la mia vita irlandese mi ricorda i mesi che vissi a Reading anni fa. Non legavo con nessuno, andavo al cinema, vivevo in una stanza d’affitto di periferia. Soffrivo la mancanza di qualcuno, certo, di un abbraccio, di un amore, di un ambiente in cui riconoscermi ma non mi sentivo solo, perché sapevo che in Italia c’era qualcuno che mi aspettava e con cui avrei passato il resto della vita. Il mio viaggiare in Europa, Africa o America era più simile a quello di Ulisse in attesa di tornare alla sua Itaca piuttosto che a quello dell’ Ebreo Errante senza patria in cui ritornare.
In questo la mia solitudine è ora differente da ogni altra solitudine che ho sperimentato o elaborato nel corso della mia vita. Sono cosciente che il mio immaginario ora è morto. Sono cosciente di averlo perduto. E di fronte alla sofferenza e al tormento che mi sono tornati in mente, ripensando agli incontri e gli amori dei miei anni universitari con una vecchia amica in visita in questi giorni a Dublino, capisco quando ho perso il mio immaginario.
Ma qui, in riva al mare, io mi sento tranquillo, come alienato, a camminare lungo la riva di un paradiso perduto. Un tramonto infuocato annuncia la notte. So che accanto a me in questa domenica di fine inverno, anche se così abissalmente distante da quello che sto provando, gli altri continuano i riti della vita, perdono tempo, cercano di divertirsi, di innamorarsi, di essere, in qualche modo felici. E a me questo non dispiace. Sono contento che ci sia vita intorno a me. Anche se stasera, camminando lungo la baia fra i corridori in tuta da jogging e le ultime coppie che stanche tornano a casa dalla gita domenicale, avverto il peso della mia età come una rivelazione.

Pic: Tramonto infuocato, Dublino
Song: Charlie Parker – Now’s the Time
Link: www.teatroutopia.tk


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