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Dall’oblò


In Italia voto per non sentirmi complice. All’Afrodisiaco di Quartu mangio ricci, granchi e calamari con Giovanni per rivivere i miei vent’anni. Al Poetto di Cagliari passeggio con Anna per ricordarmi che noi nati negli anni settanta non possiamo permetterci un futuro e allora e’ meglio cercare di vivere al meglio il presente. Al compleanno di Denise mangio prosciutto e pane sfornato dalla madre la mattina per avere l’opportunita’ di regalarle una statua di Molly Malone di scusa per il poco tempo che le ho dedicato a Dublino. Sul Nuraghe Arrubiu di Orroli mi arrampico con Maurizio e Davide per sentire l’odore del mirto e vedere il giallo acceso delle ginestre. Al lido di Orrì nuoto sotto la “Cella Osservatorio di Stella” del museo all’aperto di Tortolì per negare l’eta’ che avanza. Nell’orto di mio padre faccio scorpacciate di fragole, piselli e fave perche’ adoro mangiare la frutta e la verdura raccolta dalle mie mani. In soffitta ritrovo dei vecchi Rollerblade e pattino con Manuela nel porto di Arbatax come non facevo da anni e vedo i cambiamenti della mia cittadina. La mia dolce nipotina ancora si ricorda di me e cerca di stupirmi contando fino a dieci in inglese.
E’ tempo di tornare. Improvvisamente mi ritrovo a specchiarmi il viso contro l’oblò dell’aereo in volo tra Alghero e Dublino. Il cielo è un abisso cobalto che sale verso l’orizzonte, in basso, si accende di fasce color zafferano o arancione zen. Inquadrato dalla ristretta cornice ovoidale dell’oblò, il paesaggio mi parla del giorno e della notte, dei confini fra i mondi della terra e dell’aria e da ultimo, quando si accende una luce sulla carlinga e su quell’olografia boreale appare il riflesso del mio viso appesantito e affaticato, anche di me. Continuo a pensarmi e a vedermi come l’innocente, come colui che è incapace di fare del male e di sbagliare, ma l’immagine che vedo contro quello sfondo acceso è semplicemente il viso di una persona non più tanto giovane, con una barba di tre giorni, gli occhi affaticati, la pelle abbronzata ma appesantita. In sostanza un viso che subisce, come quello di ogni altro, la corruzione e i segni del tempo. E’ strano, l’immagine che conservavo del mio volto è sempre e immortalmente quella del giovane, del ragazzo.
Invece solo qualche mese fa ho compiuto trentacinque anni. Sono ben consapevole di non avere un’età comunemente definita matura o addirittura anziana. Ma so di non essere più giovane. Ma come tanti coetanei del mio paese alla deriva non sono sposato, non ho figli, una casa di proprietà, una professione stabile e sicura. In Sardegna ho incontrato i miei vecchi amici di Università e Liceo, come tutte le rare volte in cui torno a casa dai miei genitori, nella casa in cui sono nato e da cui sono fuggito con il pretesto degli studi universitari. E diversamente da altre volte i miei vecchi amici non li ho visti distanti da me. Sia i miei vecchi amici, sia io, ci siamo visti inerti rubarci il futuro dalla generazione dei nostri genitori, senza lavoro sicuro e pensione futura ci muoviamo alla ricerca di una nostra identità. C’è chi fa l’ennesimo master, chi cerca di rendere bianco un lavoro troppo a lungo durato in nero, chi immagina di aprire uno studio professionale, chi alle soglie dei 40 anni vive ancora con i genitori, chi progetta di spostarsi nel centro nord, chi guadagna in un mese quanto io guadagno in una settimana. Ci sono passato anche io. Anche se il viaggiare e andare all’estero per me è stata una scelta e non una necessità. O meglio la mia necessita’ di partire era di tipo esistenziale, non economica. A volte mi chiedo come si sarebbe sviluppato il mio percorso di vita se non avessi venduto la mia casa di Cagliari e non avessi rifiutato un sicuro posto in banca (ottenuto con raccomandazione of course). Ora però capisco che io vivo il mio presente con maggiore ottimismo e sono io a decidere il mio destino. Credo che ci si debba impegnare e rischiare, magari semplicemente andando a votare.
Io, privato ogni giorno del contatto con l’ambiente in cui sono cresciuto, distaccato dal rassicurante divenire di una piccola comunità, io mi sono sentito in passato solo, o meglio, sempre più diverso. Ma ora mi sento uguale ai miei vecchi amici in cui mi riconosco nelle difficoltà del presente. Io non sono radicato in nessuna città. E’ questa è una diversità. Ma riesco a percepire in patria il disagio di una paralisi economica, sociale e morale. L’andare all’estero non è l’unica soluzione. E non è una soluzione per tutti. Però ogni volta che torno in Italia capisco che è la MIA soluzione. Sono felice dopo alcuni giorni in Italia di tornare a Dublino a ritrovare il mio attuale focolare domestico revocabile.

Pic: Porto di Arbatax, Sardegna
Song: Tricarico – Un’altra possiblità
Link: www.arte2000.net/tortoli/index.htm


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