Coney Island – L’Ex Isola dei Conigli
Per l’uomo piccolissimo e contenuto – nelle auto, negli ascensori, negli uffici – è facile dimenticare che a New York c’è il mare, che le acque abbracciano la terra, continuamente la cullano e – in un globo surriscaldato – si preparano a sommergerla. Ci sono i fiumi e i percorsi meditabondi che li costeggiano, il golfo, i porti, le isole, i ponti e le spiagge. E c’è Coney Island, la ex-isola dei conigli macerata dai segni del passato e dall’abbandono non ufficiale del presente. E’ un altro punto focale dell’identità cittadina, un altro segno delle metamorfosi e dell’inclemenza di una memoria storica corrotta. E’ New York che incontra il suo mare, ne fa estasi e sfavillio, rumore e colore, azzardo e prostituzione e poi degrado, rimozione, antitesi.
Subito dopo la guerra civile la piccola fascia di terra a sud di Brooklyin, l’isola-barriera più ad ovest di Long Island, divenne una stazione climatica favorevole per ripararsi dalle torride estati cittadine e un luogo di soggiorno fra i più noti della East Coast. Fra il 1880 e la metà del secolo scorso Coney Island divenne il regno degli Amusment Park, il parco di divertimenti più grande e celebre degli Stati Uniti in grado di attirare milioni di visitatori ogni stagione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò il lento ed inesorabile degrado dell’isola delle meraviglie. L’aria condizionata in città, l’accesso facilitato all’automobile, i grandi viaggi per il mondo e, più in generale, l’avvento di un consumismo facile hanno infranto l’incanto di Coney Island, luogo di piaceri decaduti.
Fingersi bambini robot come il David di “A.I.: Artificial Intelligence” e visitare il mondo sommerso di Coney Island è un’esperienza alternativa raccomandabile, una sorta di turismo archeologico postmoderno. La spiaggia è gremita di famiglie e gioventù dell’altra New York, quella del popolo dei sobborghi, delle minoranze, dei disturbi alimentari, di chi non può permettersi una villa negli Hamptons. Le partite a pallavolo, i bagni nell’acqua gelida e marrone dell’oceano, i ritmi caribici, lo sguardo di una ragazza portoricana, i litri di daiquiri e la pura malinconia delle attrazioni arrugginite di Astroland, il sopravvissuto tra i parchi.
Ancora una volta la New York dello splendore si fonde con quella meno fotogenica dell’abbandono. Nel tramonto di Coney Island, geograficamente esposta al sole da mattina a sera, il senso di realtà sorprende ancora e rinnova una dimensione appropriata del concreto. Nostalgica, consolatoria, fascinosa e marina.