Autore della stagione
Questo è uno spazio in cui vengono presentati scritti che apprezziamo e che pensiamo abbiano a che fare con le utopie. Ogni stagione compare una nuova pagina. L’idea è nata l’estate 2003 fino all’estate del 2009. Un autore per stagione. Di seguito l’elenco degli autori presenti.
Jorge Luis Borges
Se io potessi vivere nuovamente la mia vita
nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non tenterei di essere tanto perfetto, mi rilasserei di più
sarei più stolto di quello che sono stato,
in verità prenderei poche cose sul serio.
Correrei più rischi, viaggerei di più, scalerei più montagne,
contemplerei più tramonti e attraverserei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono stato,
avrei più problemi reali e meno problemi immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che vivono sensatamente,
producendo ogni minuto della vita.
E’ chiaro che ho avuto momenti di allegria,
ma se tornassi a vivere, cercherei di avere soltanto momenti buoni.
Perché di questo è fatta la vita,
solo di momenti da non perdere.
Io ero una di quelle persone che mai andavano da qualche
parte senza un termometro, una borsa d’acqua calda, un ombrello e un paracadute:
se tornassi a vivere, viaggerei più leggero.
Se io potessi tornare a vivere, comincerei ad andare scalzo
all’inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell’autunno.
Girerei più volte nella mia strada, contemplerei più aurore
e giocherei di più con i bambini.
Se avessi un’altra volta la vita davanti…
Ma, vedete, ho ottantacinque anni e non ho un’altra possibilità.
Jorge Luis Borges
Jorge Carrera Andrade
Sono l’uomo universo
Io sono l’abitante delle pietre senza memoria, sete d’ombra verde;
il popolano di tutti i villaggi e delle prodigiose capitali;
sono l’uomo universo, marinaio di tutte le finestre della terra stordita dai motori.
Sono l’uomo di Tokyo che si nutre di pesciolini e bambù,
il minatore d’Europa, fratello della notte;
l’operaio del Congo e della spiaggia, il pescatore della Polinesia,
sono l’indio d’America, il meticcio, il giallo, il nero:
io sono tutti gli uomini.
Sopra il mio cuore firmano le genti un patto eterno
di vera pace e fraternità.
Jorge Carrera Andrade
Luis Sepùlveda
L’uomo che cercava l’orizzonte
Tra gli indios guaranies a El Pantnal, nel territorio umido del Basso Mato Grosso, un uomo viveva ossessionato dal desiderio di sapere cosa ci fosse oltre la linea verde dell’orizzonte della selva. Una sera si avvicinò al falò intorno al quale si riunivano i vecchi saggi della sua tribù. Quando comunicò loro la decisione di camminare verso la linea dell’orizzonte per vedere che cosa ci fosse dall’altro lato, non ricevette i consigli che sperava e fu invece sottoposto ad un’estenuante serie di domande. Non ti bastano i dolci frutti della papaia e della guayaba che crescono vicino al fiume? Forse la manioca non cresce generosa nel tuo orto? Ti sembrano forse insipidi i pesci che si impigliano nelle tue reti? La pelle dello yacaré in cui porti le tue frecce non ti sembra abbastanza resistente?
L’uomo rispose sempre di si, ma aggiunse che tutto questo non gli bastava, che non voleva possedere altre cose, bensì sapere cosa ci fosse dall’altro lato dell’orizzonte. Allora i vecchi saggi si infuriarono, prima di scagliare come un dardo l’ultima delle loro inquisizioni: “Ci consideri forse incapaci di rispondere a tutte le tue domande?”. L’uomo rispose che essi potevano parlare di tutto quello che si trovava da questa parte dell’orizzonte, ma non di quello che c’era dall’altra parte, perché nessuno di loro si era spinto fin laggiù. I vecchi saggi, incolleriti, lo accusarono di voler sapere più di ciò che era consentito e lo espulsero dalla tribù. “Potrai tornare solo se, dall’altro lato dell’orizzonte, troverai qualcosa di meglio che avevi qui” lo condannarono alla fine i vecchi saggi.
L’uomo si mise in marcia verso l’orizzonte. Camminò molti giorni attraversando selve e savane, eppure, via via che avanzava, la verde linea dell’orizzonte restava sempre alla stessa distanza, inalterabile. Una notte, mentre l’uomo meditava vicino al fuoco su quello strano prodigio, fu sorpreso dall’arrivo di uno sconosciuto. Sembrava stanco. Salutò, poi chiese il permesso di riposare vicino al fuoco. L’uomo che cercava l’orizzonte notò che l’altro, sebbene parlasse la sua stessa lingua non lo faceva con il tono delle genti che vivevano vicino al fiume, abituate a parlare in quel modo per far si che il sordo rumore delle acque non portasse via le loro voci. Lo sconosciuto veniva dalla selva profonda e per questo il tono della sua voce era basso.
Lo sconosciuto si strofinò i piedi, doloranti per il lungo cammino e guardò meravigliato l’uomo che cercava l’orizzonte: aveva scostato qualche tizzone e glielo aveva messo sotto i piedi. Quel tepore fu come un balsamo per la sua stanchezza. Allora lo sconosciuto tirò fuori dalla bisaccia due pezzi di manioca e ne offrì uno all’uomo che cercava l’orizzonte. Egli lo accettò, e senza darsi troppo peso cominciò ad arrostire il suo pezzo di manioca sulle fiamme. L’altro invece si incamminò verso il folto della selva e ritornò con due grandi foglie, nelle quali avvolse amorevolmente la sua porzione. Aspettando che si cocesse, osservo l’uomo che cercava l’orizzonte mentre cercava di mangiare la sua razione mezza calcinata. Poi dopo aver tastato la sua parte, la ritirò dal fuoco, aprì l’involucro di foglie, ed ecco la manioca bianca e fragrante. Gliene offrì la metà e l’uomo che cercava l’orizzonte seppe di aver trovato qualcosa di meglio di ciò che già conosceva. Uno mangiava un cibo dal sapore inimmaginabile e l’altro provava una sensazione di sollievo ai piedi che mai prima aveva sperimentato.
All’alba si prepararono a continuare il cammino. All’uomo che cercava l’orizzonte piaceva la compagnia dell’altro, e forse per questo gli chiese dove andasse. “verso l’orizzonte, voglio vedere cosa c’é dall’altro lato”, rispose, e le sue parole rallegrarono l’uomo che veniva dal fiume. “Allora possiamo andare insieme”, gli disse contento. Ma la sua allegria durò poco, perché appena si misero in movimento, l’uomo della selva cominciò a camminare nella direzione dalla quale veniva lui. “No l’orizzonte è di là!”, disse l’uomo del fiume. “Ti sbagli. Io vengo da lì, e l’orizzonte è di fronte ai miei occhi. Perché tu gli dai le spalle?”, chiese l’uomo della selva. Dopo un istante di esitazione, seppero di star cercando la stessa cosa e di aver iniziato finalmente a trovarla.
Luis Sepùlveda
Thich Nhat Han
Inter-essere
Un poeta, guardando questa pagina, si accorge subito che dentro c’é una nuvola. Senza la nuvola, non c’é pioggia; senza pioggia, gli alberi non crescono; e senza alberi, non possiamo fare la carta. La nuvola è indispensabile all’esistente della carta. Se c’é questo foglio di carta, è perché c’é anche la nuvola. Possiamo allora dire che la nuvola e la carta inter-sono. “Inter-essere” non è riportato dai dizionari, ma, unendo il prefisso “inter” e il verbo “essere”, otteniamo una nuova parola: inter-essere. Nessuna nuvola, nessuna carta: per questo diciamo che la nuvola e il foglio inter-sono.
Guardando più in profondità in questa pagina, vedremo anche brillare la luce del sole. Senza luce del sole le foreste non crescono. Niente cresce in assenza della luce solare, nemmeno noi. Ecco perché in questo foglio di carta splende il sole. La carta e la luce del sole inter-sono. Continuiamo a guardare: ecco il taglialegna che ha abbattuto l’albero e l’ha trasportato alla cartiera dove è stato trasformato in carta. sappiamo che l’esistenza del taglialegna dipende dal suo pane quotidiano, quindi in questo foglio di cara c’é anche il grano che è finito nel pane del taglialegna. C’é altro: i genitori del nostro taglialegna. Guardando in questo modo, comprendiamo che la pagina che stiamo leggendo dipende da quelle cose.
Se guardiamo ancora più in profondità, vedremo nel foglio anche noi. Non è difficile capirlo: quando guardiamo un foglio di carta, il foglio è un elemento della nostra percezione. La vostra mente è li dentro, e anche la mia. Nel foglio di carta è presente ogni cosa: il tempo, lo spazio, la terra, la pioggia, i minerali del terreno, la luce del sole, la nuvola, il fiume, il calore. Ogni cosa co-esiste in questo foglio. “Essere” è in realtà inter-essere: per questo dovrebbe trovarsi nei dizionari. Non potete essere solo in virtù di voi stessi, dovete inter-essere con ogni altra cosa. Questa pagina è, perché tutte le altre cose sono.
Thich Nhat Han
Antoine de Saint-Exupéry
L’essenziale e’ invisibile agli occhi
“Buon giorno”, disse il piccolo principe.
“Buon giorno”, disse il mercante.
Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi questa roba?”, disse il piccolo principe.
“È una grossa economia di tempo”, disse il mercante.
“Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano 53 minuti alla settimana”.
“E cosa se ne fa di questi 53 minuti?”.
“Se ne fa quel che vuole…”.
“Io”, disse il piccolo principe, “se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”.
Antoine de Saint-Exupéry
Tiziano Terzani
Lettera contro la guerra
Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi.
Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità…
Lentamente bisogna liberarcene.
Dobbiamo cambiare atteggiamento.
Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse.
Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene.
Educhiamo i figli ad essere onesti, non furbi.
E’ il momento di uscire allo scoperto; è il momento d’impegnarsi per i valori in cui si crede.
Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi.
Tiziano Terzani
Pablo Neruda
Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi e’ infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia
aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere
vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicita’.
Pablo Neruda
Wislawa Szymborska
Utopia
Isola dove tutto si chiarisce.
Qui ci si può fondare su prove.
L’unica strada è quella d’accesso.
Gli arbusti si piegano sotto le risposte.
Qui cresce l’albero della Giusta Ipotesi
Con rami da sempre districati.
Di abbagliante linearità è l’albero del Senno
presso la fonte detta Ah Dunque E’ Così.
Più ti addentri nel bosco, più si allarga
la Valle dell’Evidenza.
Se sorge un dubbio, il vento lo disperde.
L’Eco prende la parola senza farsi chiamare
e chiarisce volenterosa i misteri dei mondi.
A destra una grotta in cui giace il Senso.
A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la Verità e viene lieve a galla.
Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla sua cima si spazia sull’Essenza delle Cose.
Malgrado le sue attrattive l’isola è deserta,
e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il mare.
Come se da qui si andasse solo via,
immergendosi irrevocabilmente nell’abisso.
Nella vita inconcepibile.
Wislawa Szymborska
Frère Roger
Lettera a tutte le generazioni
Ora è venuto il momento di moltiplicare attraverso il mondo i luoghi di condivisione dove lotte e contemplazione siano strettamente legate alla vita quotidiana.
Questi luoghi di condivisioni saranno costituiti da qualche giovane o da una comunità, da una famiglia o da una coppia, talvolta da una persona singola che ne raggruppa altre attorno a sé. Essi prenderanno forme molto diverse secondo l’età e le situazioni di ciascuno. Saranno luoghi di accoglienza semplice, dimore dai mezzi elementari.
Coloro che si impegneranno in tali luoghi di condivisione non fuggiranno le contraddizioni di una società dove si generano le disuguaglianze, ricerca del profitto, consumo smisurato, segregazione di razze, terrorismo… Nella loro lotta per una terra più giusta, è nel cuore stesso di tutte queste contraddizioni che si inseriranno, sostenuti da una vita di preghiera nascosta, anche se a volte condivideranno con gli altri solamente la loro debolezza e la loro impotenza.
Sparsi in tutto il mondo, spesso nascosti nel cuore della moltitudine, dei piccoli luoghi di condivisione saranno un lievito che fermenterà tutta la pasta facendo scoppiare la crosta indurita. La loro semplice presenza, apparentemente inefficace, feconderà una terra di comunione per tutta la famiglia umana.
Frère Roger
John Lennon
Imagine
Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today…
Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace…
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world…
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one
traduzione italiana
Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il cielo
Immagina che la gente
viva al presente…
Immagina non ci siano paesi
non è difficile
Niente per cui uccidere e morire
e nessuna religione
Immagina che tutti
vivano la loro vita in pace..
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno…
Immagina un mondo senza possessi
mi chiedo se ci riesci
senza necessità di avidità o rabbia
La fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
condividere il mondo intero…
John Lennon
Italo Calvino
Le città invisibili
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimase silenzioso, riflettendo. Poi soggiunse: – Perché mi parli delle pietre? è solo dell’arco che mi importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’é arco.
Italo Calvino
Mahatma Gandhi
Un dono
Prendi un sorriso, regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole, fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente, fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima, posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio, mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita, raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza, e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà, e donala a chi non sa donare.
Scopri l’amore, e fallo conoscere al mondo.
Mahatma Gandhi
Don Milani
Lettera ai giudici
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch’io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. […]
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l’anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell’orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico. La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme. […]
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”. Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l’unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d’una “guerra giusta”. D’una guerra cioè che fosse in regola con l’articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l’abbiamo trovata. Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri: Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con “interviste” piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle “interviste” senza curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965). La nostra lettera è stata incriminata.
Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale. Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione all’Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l’automobile. Non toccava a lui chiamare “vili e estranei al comandamento cristiano dell’amore” quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici. A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona. La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall’altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell’imputato e è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta. Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l’anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto. Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore. L’ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d’aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime! Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Ma è poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al progresso legislativo. L’Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale “al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali”. (ordine del giorno approvato all’unanimità nella seduta dell’11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste morali e sociali è l’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito a buttar tutto all’aria: all’aria buona. La storia come la insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora. È dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali. A sentir loro tutte le guerre erano “per la Patria”.
Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che “per la Patria” non erano. I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare. Dal ’22 al ’45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel ’47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di quell’articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata al potere. Allora l’esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta. Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compensato con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente figlio dei poveri. Allora l’esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza. Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria? Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di Napoleone in Russia. Forse l’esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l’esercito inglese a Suez. Forse l’esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l’esercito russo in Polonia. Forse l’esercito italiano al Piave. Ma non certo l’esercito italiano il 24 Maggio. Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. […]
Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d’un generale. Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D’Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre. A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L’umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c’è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né nell’una né nell’altra non sono che un’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca. Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati. E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha fatto quand’era “un bravo ragazzo, un soldato disciplinato” (secondo la definizione dei suoi superiori) “un povero imbecille irresponsabile” (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (carteggio di Claude Eatherly e Gunter Anders – Einaudi 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: “Tant’è ladro chi ruba che chi para il sacco”. Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all’uomo d’oggi. E così siamo giunti a quest’assurdo che l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico. […]
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente (si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi l’aveva già capito quando ancora non si parlava di armi atomiche. “Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra” (Nonviolence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1). Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una “guerra giusta” né per la Chiesa né per la Costituzione. […]
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana? Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l’idea di andare a fare l’eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura. Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d’ogni religione e d’ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l’umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima.
Don Milani
Robert Kennedy
Il nostro benessere
Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL). Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle […]. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.
Robert Kennedy
Ryszard Kapuscinski
L’altrove nel terzo millennio
Quando mi soffermo a riflettere sui miei viaggi intorno al mondo – viaggi iniziati ormai moltissimo tempo fa – talvolta mi ritrovo a pensare che i problemi più inquietanti in cui io mi sono imbattuto non erano i fronti e le frontiere, non erano le fatiche e i pericoli, bensì una costante insicurezza che mi poneva sempre le stesse domande: di che tipo sarà, come sarà e come si svolgerà l’incontro con l’Altro, con le altre persone che oggi mi capiterà d’incontrare lungo il cammino? Sapevo infatti che molto, se non tutto, dipendeva da questo. Ogni incontro era un punto di domanda: come si svolgerà? Come procederà? Come si concluderà?
Domande di questo tipo sono ovviamente primordiali. L’incontro con gli altri uomini è sempre stato un’esperienza universale e fondamentale per il genere umano. Gli archeologi ci dicono che i primissimi gruppi umani erano costituiti da piccole famiglie-tribù composte da 35-50 individui. Se la società fosse stata più grande, le sarebbe stato difficile muoversi velocemente e con efficienza. Se fosse stata più piccola, le sarebbe stato più difficile difendersi con successo e lottare per la sopravvivenza.
Ed ecco che ora la nostra piccola famiglia-tribù prosegue il cammino alla ricerca di nutrimento e all’improvviso si imbatte in un’altra famiglia-tribù. Che momento importante nella storia del mondo, che scoperta grandiosa! Scoprire che al mondo esistono altri uomini! Sinora il membro del nostro gruppo primitivo, muovendosi all’interno dei 30-50 suoi simili, poteva vivere nella convinzione di conoscere tutti gli uomini del mondo. E invece ecco che nel mondo vivono altri individui simili a lui, altri uomini!
Ma come comportarsi di fronte a una rivelazione del genere? Che atteggiamento assumere? Quale decisione prendere? Scagliarsi furiosamente contro quella gente nuova? Incrociarli con indifferenza e proseguire? Oppure tentare di conoscerli e di capirsi?
Questa scelta dei nostri progenitori ci sta ancora dinanzi con immutata intensità, una scelta tanto essenziale e categorica quanto quella antica. Come rapportarsi agli Altri? Quale atteggiamento assumere?
Può accadere che si giunga al duello, al conflitto, alla guerra. Le testimonianze di eventi di questo tipo sono conservate in tutti gli archivi, contrassegnate dagli innumerevoli campi di battaglia e dai resti di macerie sparsi in tutto il mondo. Sono la prova della disfatta dell’uomo, che non ha saputo o voluto venire a patti con gli Altri. Le letterature di tutti i Paesi e di tutte le epoche si sono appropriate di questa situazione – di questa nostra tragedia e debolezza – facendone un soggetto estremamente vario e ricco di atmosfere.
Ma può anche succedere che la nostra famiglia-tribù, invece di assalire e combattere, decida di erigere uno steccato e di isolarsi. In conseguenza di un atteggiamento siffatto, col tempo cominceranno a sorgere costruzioni costituzionalmente simili l’una all’altra, come la Muraglia cinese, le torri e le porte di Babilonia, il limes romano o i muri in pietra degli Incas.
Fortunatamente la terra è colma anche di testimonianze che documentano un altro tipo di esperienza umana. Sono le testimonianze della collaborazione, come i resti dei fori e degli scali, come i luoghi dove sorgeva l’agorà e il sanctuarium, dove sono ancora visibili le sedi delle antiche università e accademie, oppure dove si sono conservate le tracce delle vie commerciali, la via della seta, la via dell’ambra, la via sahariana. In quei luoghi gli uomini si incontravano, si scambiavano pensieri, idee e merci, commerciavano, facevano affari, stipulavano intese e alleanze, rintracciavano scopi e valori comuni. Ciascuno ritrovava in se stesso almeno una particella dell’Altro, ci credeva, viveva in questa convinzione.
Conoscere il mondo richiede uno sforzo che assorbe tutte le facoltà dell’uomo. La maggior parte della gente sviluppa piuttosto le facoltà opposte, la capacità di guardare senza vedere e di sentire senza ascoltare. E dunque, ogni volta che l’uomo ha incontrato l’Altro, si è trovato di fronte a tre possibilità: poteva scegliere la guerra, poteva circondarsi con un muro, poteva instaurare un dialogo. Nel corso della storia l’uomo ha sempre esitato nello scegliere una delle opzioni: sceglie l’una o l’altra a seconda dell’epoca e della cultura. Nel compiere la scelta l’uomo è mutevole, non sempre si sente sicuro, a volte sente il terreno mancargli sotto i piedi.
Risulta difficile giustificare la guerra: io credo che la perdano tutti perché essa è la sconfitta dell’essere umano, ne mette a nudo l’incapacità di intendersi con l’Altro, di sentirsi nell’Altro, l’incapacità alla bontà e alla ragione. In tal caso, di solito, l’incontro con l’Altro si conclude con il dramma e la tragedia del sangue e della morte.
All’idea che ha spinto l’uomo a costruire alte mura e fosse abissali per circondarsene ed isolarsi dagli altri, in età contemporanea è stato dato il nome di apartheid. Questo concetto è stato ingiustamente limitato alla politica del regime dei bianchi, oggi non più esistente, in Sud Africa. In realtà la segregazione veniva praticata già nei tempi più remoti. In parole povere, si tratta della concezione secondo cui – affermano i suoi sostenitori – ciascuno può vivere come gli pare purché stia lontano da me, se non appartiene alla mia razza, alla mia religione, alla mia cultura. Poco male, se si trattasse solo di questo! In realtà ci troviamo di fronte alla dottrina della disuguaglianza strutturale del genere umano. I miti di molte tribù e di molti popoli racchiudono in sé la convinzione che solo noi, i membri del nostro clan e della nostra collettività, siamo uomini, mentre gli altri, tutti gli altri, sono semi-uomini o non sono affatto uomini.
Com’è diversa l’immagine dell’Altro nell’epoca delle credenze antropomorfiche, quando gli dei potevano assumere forma umana e comportarsi come gli uomini. Infatti allora non era possibile sapere se il viandante, il viaggiatore, il forestiero che si stava appressando fosse un uomo oppure un dio somigliante all’uomo. Questa insicurezza, questa intrigante ambivalenza è una delle fonti della cultura dell’ospitalità, quella cultura che impone di dimostrare benevolenza al nuovo venuto dall’identità non riconoscibile fino in fondo.
Oggi noi viviamo nel periodo di passaggio dalla società di massa a una società nuova, di dimensione planetaria. Questo fenomeno è alimentato dalla rivoluzione elettronica, dallo straordinario sviluppo di ogni genere di comunicazione, dalla grande facilità di collegamento e movimento, ed anche dalle conseguenti trasformazioni che intervengono nella coscienza delle ultime generazioni e nella cultura intesa in senso lato.
Come cambierà allora il rapporto tra noi, uomini appartenenti a una cultura, e gli uomini appartenenti a un’altra o ad altre culture diverse dalla nostra? Che conseguenze ci saranno sulla relazione Io-l’Altro nell’ambito della mia cultura e al di fuori di essa? E’ molto difficile rispondere in maniera univoca e definitiva, in quanto si tratta di un processo in fieri in cui noi stessi siamo immersi, e pertanto non ci è data la possibilità di assumere una distanza che consenta la riflessione.
La cultura sta diventando sempre più ibrida ed eterogenea. Non molto tempo fa ho assistito nel Dubai a un fenomeno stupefacente. Una ragazza, sicuramente musulmana, stava camminando lungo la riva del mare. Indossava jeans attillati e camicetta aderente, mentre la testa, e solo la testa, era coperta da un chador così puritanamente ermetico che non si vedevano nemmeno gli occhi.
Oggi ormai esistono scuole di filosofia, antropologia e critica letteraria che dedicano ampio spazio all’analisi dei processi di ibridazione, comunicazione e trasformazione culturale. Tale processo è continuo soprattutto nelle regioni i cui confini di stato sono anche confini culturali (p. es. la frontiera statunitense-messicana), ma anche nelle metropoli gigantesche (San Paolo, New York, Singapore), dove si mescolano popolazioni diversissime per cultura e razza. D’altronde quando oggi diciamo che il mondo è diventato multietnico e multiculturale, non lo diciamo perché ci sono più comunità o più culture di una volta, ma perché esse si esprimono con voce sempre più alta, sempre più autonoma e decisa, pretendendo l’accettazione, il riconoscimento e un posto alla tavola rotonda delle nazioni.
La vera sfida del nostro tempo – l’incontro con un nuovo Altro – sorge anche da un ampio contesto storico. Gli ultimi cinquant’anni del sec. XX hanno visto i due terzi della popolazione mondiale liberarsi dai vincoli del colonialismo e trasformarsi in cittadini di stati almeno nominalmente indipendenti. Questi popoli hanno gradualmente cominciato a rintracciare il proprio passato, i propri miti e leggende, le radici, il senso della propria identità, e naturalmente l’orgoglio che ne deriva. Cominciano a sentirsi se stessi, padroni e timonieri del proprio destino, guardando con odio ogni altrui tentativo di trattarli da comparse, da vittime e oggetti passivi della dominazione.
Oggi il nostro pianeta, abitato per secoli da un ristretto gruppo di liberi e da moltitudini di forzati, si sta colmando di un numero sempre più alto di nazioni e società in cui aumenta il senso della specificità del proprio valore e della propria rilevanza. Il percorso di questo processo incontra sovente difficoltà immense, conflitti, drammi e perdite.
Forse stiamo puntando verso un mondo talmente nuovo e difforme che le esperienze della storia sin qui acquisite si riveleranno insufficienti a comprenderlo e a muovercisi dentro. In ogni caso il mondo in cui stiamo entrando è il Pianeta della Grande Opportunità: non si tratta di un’opportunità incondizionata, bensì aperta a coloro che trattano seriamente i propri compiti, dimostrando in tal modo che trattano seriamente anche se stessi. E’ un mondo che potenzialmente offre molto, ma molto esige, un mondo in cui il tentativo di prendere la via più breve potrebbe condurre al nulla.
Vi incontreremo continuamente un nuovo Altro che pian piano comincerà a emergere dal caos e dalla confusione della contemporaneità. E’ possibile che l’Altro nasca dalle due opposte correnti che danno forma alla cultura del mondo contemporaneo: quella che vuole globalizzare la nostra realtà e quella che vuole conservare le nostre diversità, le nostre differenze, la nostra irripetibilità. E’ possibile che sia loro embrione ed erede. Con lui dovremmo cercare il dialogo e l’intesa. La mia pluriennale esperienza vissuta tra Altri lontani, mi insegna che solo la benevolenza nei confronti dell’altro essere umano costituisce il giusto approccio per far vibrare dentro di lui la corda dell’umanità.
Scrivo anche per alcune ragioni etiche: intanto perché i poveri di solito sono silenziosi. La povertà soffre in silenzio. La povertà non si ribella. Avrete situazioni di rivolta solo quando la gente povera nutre qualche speranza di migliorare qualcosa ma nelle situazioni di perenne povertà la caratteristica principale è la mancanza di speranza. Questa gente non si ribellerà mai. Così ha bisogno di qualcuno che parli per lei.
Chi sarà il nuovo Altro? Come sarà il nostro incontro? Che cosa ci diremo? E in quale lingua? Saremo capaci di ascoltarci? Di comprenderci? Vorremo entrambi fare riferimento a ciò che – come dice Conrad – “fa appello alla nostra capacità di esperimentare lo stupore e la meraviglia, alla sensibilità per il mistero che circonda la nostra vita, al nostro sentimento della pietà, della bellezza e del dolore, al legame nascosto con il mondo intero; fa appello alla convinzione sottile ma invincibile che la solidarietà accomuna le solitudini degli innumerevoli cuori umani; fa appello a quella comunanza di sogni, gioie, preoccupazioni, aspirazioni, illusioni, speranze, paure, che lega un essere umano all’altro essere umano, che unisce l’umanità tutta: i morti ai vivi, e i vivi a coloro che non sono ancora nati”?
Ryszard Kapuscinski
Abbe Pierre
Non si può vivere senza speranza
Oggi ci sono due tipi di poveri. Innanzitutto in tutti i paesi del mondo esiste il problema di quelli che non trovano lavoro. Questo problema si pone in modo molto diverso nel Terzo Mondo perché non ci sono imprese che assumono lavoratori e nei paesi industrializzati, dove nonostante il progresso e la modernizzazione si attuano politiche sociali che hanno come conseguenza il licenziamento e la disoccupazione di tante persone. Esiste poi un’altra categoria, quella di coloro che perdono il treno e non riescono a integrarsi e a trovare una collocazione nella società. In questi periodi di crisi è evidente che “i più forti” hanno sempre la tentazione di emarginare, di respingere i più deboli perché non c’è posto per tutti. Da un lato la tendenza che si manifesta, quando si detiene un po’ di forza, e’ quella di garantirsi il meglio, il posto migliore, la fetta più grossa della torta. Questo comportamento da parte dei più forti è d’altra parte una delle tentazioni costanti dell’uomo. Dall’altro lato c’e’ un altro fenomeno che si sta imponendo, e cioè l’indignazione di fronte all’uso della forza a spese dei piu’ deboli. E’ una spinta a mettersi al loro servizio con lo stesso atteggiamento con cui guardiamo ai più piccoli proprio come in quella cellula primordiale della società rappresentata dalla famiglia. Un nucleo dove i più forti, i più grandi, gli adulti non si occupano dei neonati, dei malati e dei vecchi non è più una famiglia e la vita perde di senso. Ci sono però anche coloro che d’istinto sono portati, sotto la spinta di un impulso interno che noi credenti attribuiamo alla grazia di Dio, a prendere quest’ultima strada adeguando il proprio modo di vita alle necessità dei più piccoli, dei neonati, dei malati o dei vecchi.
Fate bene a commuovervi di fronte a tanti bambini che muoiono di fame nel mondo. Facciamo bene a dare, per loro, ai missionari o ad altri, la nostra offerta… ma ricordiamoci: se non siamo decisi, contemporaneamente, a mettere a disposizione non solo i nostri soldi, ma tutto il nostro impegno politico e la nostra “collera d’Amore” perché a questi bambini sia garantito di vivere nel pieno rispetto di tutti i loro diritti fondamentali di Esseri umani, nella giustizia e nella pace, allora vi dico che saremmo stati meno crudeli a lasciarli morire in giovane età, senza costringerli a vivere disperati in condizione di miseria e di sfruttamento.
Questa forma di maledizione, questo odierno manifestarsi del male come predominio dei forti, non ha impedito di agire a personaggi come Madre Teresa e a tanti esseri umani che non saranno mai famosi, non saranno mai canonizzati anche se a loro modo potrebbero essere definiti dei Santi. Non siamo sufficientemente consapevoli che tutti i giorni, tutte le mattine, ci sono milioni, centinaia di milioni di mamme e di papà che svegliandosi pensano soltanto a quello che devono fare per mettersi al servizio della propria famiglia, della propria comunità. Costoro in realtà, anche se non sanno nulla della Rivelazione, sono dei Santi perché fanno la volontà di Dio, assumendosi le proprie responsabilità. Queste energie esistono, non le percepiamo, perché non fanno chiasso, non sono prese in considerazione dalle canonizzazioni. Sono una moltitudine poco visibile che in realtà rappresenta il lievito che aiuta la comunità a sopravvivere.
Si dice che negli Stati Uniti attualmente quasi la metà della popolazione soffra di obesità, cioè è troppo grassa, ed è quello che sta accadendo anche in Europa rappresentando una vera emergenza perché compromette l’equilibrio del comportamento e l’aspettativa di una vita familiare normale. Occorre fare informazione: gli uomini politici devono avere il coraggio di continuare a dire all’infinito quali sono le cose che hanno effetti nocivi, che distruggono, e nello stesso tempo impegnarsi nel far capire come possono essere meravigliosi la natura e l’universo quando viene rispettata l’essenza di ogni elemento e di ogni creatura.
E’ importante ricordare, e non ricordare soltanto il male. Io sono una di quelle persone che nel secolo scorso hanno vissuto la realtà delle due guerre: da bambino ho conosciuto parenti che durante la Prima Guerra Mondiale hanno subito mutilazioni e altre famiglie in cui il padre era disperso; durante la Seconda Guerra Mondiale, con tutti i disastri che ha portato con se, ho assistito alle deportazioni, ho visto persone che oltre ad essere deportate venivano costrette a lavorare per il nemico. Tutto cio’ non va dimenticato, ma bisogna essere consapevoli che il passato non ci protegge per il futuro.
Chi avrebbe mai pensato, alla fine del secolo appena trascorso, – quando tutti erano pieni di speranze di pace – che qualcuno avrebbe tratto ancora orribile ispirazione da quei conflitti. Chi avrebbe mai immaginato che il nuovo secolo sarebbe stato segnato da un terrorismo peggiore della guerra perché in un conflitto lo sforzo e’ quello di avere forze pari a quelle del nemico. Nella nuova situazione in cui si trova il mondo il nemico non è ben definito. E’ inafferrabile. Non ci sono mezzi logici per combatterlo. In qualsiasi momento quello che è accaduto a Madrid può succedere in altri paesi, è un fatto imprevedibile; ma pur ricordando queste sciagure e in previsione degli attacchi di oggi non dobbiamo dimenticare che abbiamo due occhi. Se un occhio deve essere aperto coraggiosamente per vedere il male e per combatterlo, bisogna tenere aperto l’altro per vedere la bellezza, i fiori che sbocciano di nuovo in primavera, il sorriso dei bambini. Vedere tutto quello che è bello: le stelle in una notte limpida e fredda in cui si può vedere lo splendore del cielo. Bisogna incoraggiare le persone a tenere gli occhi aperti e a guardare le bellezze meravigliose che ci possono appagare, ma nello stesso tempo avere anche il coraggio di guardare in faccia il male. A questo si devono preparare i giovani per essere in grado di capire qual’e’ il loro ruolo.
Bisogna fare una chiara distinzione tra speranza e aspettativa. C’è l’aspettativa di avere da mangiare, di vedere soddisfatte le necessità immediate, la speranza invece è la certezza che abbiamo in noi che la vita ha un significato, che c’è una meta. La speranza tiene conto del significato dell’esistenza. Si può vivere con poche aspettative e molte delusioni, ma non si può vivere senza una qualche speranza.
Abbe’ Pierre
Allen Ginbeg
Howl
For Carl Solomon
I
I saw the best minds of my generation destroyed by
madness, starving hysterical naked,
dragging themselves through the negro streets at dawn
looking for an angry fix,
angelheaded hipsters burning for the ancient heavenly
connection to the starry dynamo in the machin-
ery of night,
who poverty and tatters and hollow-eyed and high sat
up smoking in the supernatural darkness of
cold-water flats floating across the tops of cities
contemplating jazz,
who bared their brains to Heaven under the El and
saw Mohammedan angels staggering on tene-
ment roofs illuminated,
who passed through universities with radiant cool eyes
hallucinating Arkansas and Blake-light tragedy
among the scholars of war,
who were expelled from the academies for crazy &
publishing obscene odes on the windows of the
skull,
who cowered in unshaven rooms in underwear, burn-
ing their money in wastebaskets and listening
to the Terror through the wall,
who got busted in their pubic beards returning through
Laredo with a belt of marijuana for New York,
who ate fire in paint hotels or drank turpentine in
Paradise Alley, death, or purgatoried their
torsos night after night
with dreams, with drugs, with waking nightmares, al-
cohol and cock and endless balls,
incomparable blind; streets of shuddering cloud and
lightning in the mind leaping toward poles of
Canada & Paterson, illuminating all the mo-
tionless world of Time between,
Peyote solidities of halls, backyard green tree cemetery
dawns, wine drunkenness over the rooftops,
storefront boroughs of teahead joyride neon
blinking traffic light, sun and moon and tree
vibrations in the roaring winter dusks of Brook-
lyn, ashcan rantings and kind king light of mind,
who chained themselves to subways for the endless
ride from Battery to holy Bronx on benzedrine
until the noise of wheels and children brought
them down shuddering mouth-wracked and
battered bleak of brain all drained of brilliance
in the drear light of Zoo,
who sank all night in submarine light of Bickford’s
floated out and sat through the stale beer after
noon in desolate Fugazzi’s, listening to the crack
of doom on the hydrogen jukebox,
who talked continuously seventy hours from park to
pad to bar to Bellevue to museum to the Brook-
lyn Bridge,
lost battalion of platonic conversationalists jumping
down the stoops off fire escapes off windowsills
off Empire State out of the moon,
yacketayakking screaming vomiting whispering facts
and memories and anecdotes and eyeball kicks
and shocks of hospitals and jails and wars,
whole intellects disgorged in total recall for seven days
and nights with brilliant eyes, meat for the
Synagogue cast on the pavement,
who vanished into nowhere Zen New Jersey leaving a
trail of ambiguous picture postcards of Atlantic
City Hall,
suffering Eastern sweats and Tangerian bone-grind-
ings and migraines of China under junk-with-
drawal in Newark’s bleak furnished room,
who wandered around and around at midnight in the
railroad yard wondering where to go, and went,
leaving no broken hearts,
who lit cigarettes in boxcars boxcars boxcars racketing
through snow toward lonesome farms in grand-
father night,
who studied Plotinus Poe St. John of the Cross telep-
athy and bop kabbalah because the cosmos in-
stinctively vibrated at their feet in Kansas,
who loned it through the streets of Idaho seeking vis-
ionary indian angels who were visionary indian
angels,
who thought they were only mad when Baltimore
gleamed in supernatural ecstasy,
who jumped in limousines with the Chinaman of Okla-
homa on the impulse of winter midnight street
light smalltown rain,
who lounged hungry and lonesome through Houston
seeking jazz or sex or soup, and followed the
brilliant Spaniard to converse about America
and Eternity, a hopeless task, and so took ship
to Africa,
who disappeared into the volcanoes of Mexico leaving
behind nothing but the shadow of dungarees
and the lava and ash of poetry scattered in fire
place Chicago,
who reappeared on the West Coast investigating the
F.B.I. in beards and shorts with big pacifist
eyes sexy in their dark skin passing out incom-
prehensible leaflets,
who burned cigarette holes in their arms protesting
the narcotic tobacco haze of Capitalism,
who distributed Supercommunist pamphlets in Union
Square weeping and undressing while the sirens
of Los Alamos wailed them down, and wailed
down Wall, and the Staten Island ferry also
wailed,
who broke down crying in white gymnasiums naked
and trembling before the machinery of other
skeletons,
who bit detectives in the neck and shrieked with delight
in policecars for committing no crime but their
own wild cooking pederasty and intoxication,
who howled on their knees in the subway and were
dragged off the roof waving genitals and manu-
scripts,
who let themselves be fucked in the ass by saintly
motorcyclists, and screamed with joy,
who blew and were blown by those human seraphim,
the sailors, caresses of Atlantic and Caribbean
love,
who balled in the morning in the evenings in rose
gardens and the grass of public parks and
cemeteries scattering their semen freely to
whomever come who may,
who hiccuped endlessly trying to giggle but wound up
with a sob behind a partition in a Turkish Bath
when the blond & naked angel came to pierce
them with a sword,
who lost their loveboys to the three old shrews of fate
the one eyed shrew of the heterosexual dollar
the one eyed shrew that winks out of the womb
and the one eyed shrew that does nothing but
sit on her ass and snip the intellectual golden
threads of the craftsman’s loom,
who copulated ecstatic and insatiate with a bottle of
beer a sweetheart a package of cigarettes a can-
dle and fell off the bed, and continued along
the floor and down the hall and ended fainting
on the wall with a vision of ultimate cunt and
come eluding the last gyzym of consciousness,
who sweetened the snatches of a million girls trembling
in the sunset, and were red eyed in the morning
but prepared to sweeten the snatch of the sun
rise, flashing buttocks under barns and naked
in the lake,
who went out whoring through Colorado in myriad
stolen night-cars, N.C., secret hero of these
poems, cocksman and Adonis of Denver-joy
to the memory of his innumerable lays of girls
in empty lots & diner backyards, moviehouses’
rickety rows, on mountaintops in caves or with
gaunt waitresses in familiar roadside lonely pet-
ticoat upliftings & especially secret gas-station
solipsisms of johns, & hometown alleys too,
who faded out in vast sordid movies, were shifted in
dreams, woke on a sudden Manhattan, and
picked themselves up out of basements hung
over with heartless Tokay and horrors of Third
Avenue iron dreams & stumbled to unemploy-
ment offices,
who walked all night with their shoes full of blood on
the snowbank docks waiting for a door in the
East River to open to a room full of steamheat
and opium,
who created great suicidal dramas on the apartment
cliff-banks of the Hudson under the wartime
blue floodlight of the moon & their heads shall
be crowned with laurel in oblivion,
who ate the lamb stew of the imagination or digested
the crab at the muddy bottom of the rivers of
Bowery,
who wept at the romance of the streets with their
pushcarts full of onions and bad music,
who sat in boxes breathing in the darkness under the
bridge, and rose up to build harpsichords in
their lofts,
who coughed on the sixth floor of Harlem crowned
with flame under the tubercular sky surrounded
by orange crates of theology,
who scribbled all night rocking and rolling over lofty
incantations which in the yellow morning were
stanzas of gibberish,
who cooked rotten animals lung heart feet tail borsht
& tortillas dreaming of the pure vegetable
kingdom,
who plunged themselves under meat trucks looking for
an egg,
who threw their watches off the roof to cast their ballot
for Eternity outside of Time, & alarm clocks
fell on their heads every day for the next decade,
who cut their wrists three times successively unsuccess-
fully, gave up and were forced to open antique
stores where they thought they were growing
old and cried,
who were burned alive in their innocent flannel suits
on Madison Avenue amid blasts of leaden verse
& the tanked-up clatter of the iron regiments
of fashion & the nitroglycerine shrieks of the
fairies of advertising & the mustard gas of sinis-
ter intelligent editors, or were run down by the
drunken taxicabs of Absolute Reality,
who jumped off the Brooklyn Bridge this actually hap-
pened and walked away unknown and forgotten
into the ghostly daze of Chinatown soup alley
ways & firetrucks, not even one free beer,
who sang out of their windows in despair, fell out of
the subway window, jumped in the filthy Pas-
saic, leaped on negroes, cried all over the street,
danced on broken wineglasses barefoot smashed
phonograph records of nostalgic European
1930s German jazz finished the whiskey and
threw up groaning into the bloody toilet, moans
in their ears and the blast of colossal steam
whistles,
who barreled down the highways of the past journeying
to each other’s hotrod-Golgotha jail-solitude
watch or Birmingham jazz incarnation,
who drove crosscountry seventytwo hours to find out
if I had a vision or you had a vision or he had
a vision to find out Eternity,
who journeyed to Denver, who died in Denver, who
came back to Denver & waited in vain, who
watched over Denver & brooded & loned in
Denver and finally went away to find out the
Time, & now Denver is lonesome for her heroes,
who fell on their knees in hopeless cathedrals praying
for each other’s salvation and light and breasts,
until the soul illuminated its hair for a second,
who crashed through their minds in jail waiting for
impossible criminals with golden heads and the
charm of reality in their hearts who sang sweet
blues to Alcatraz,
who retired to Mexico to cultivate a habit, or Rocky
Mount to tender Buddha or Tangiers to boys
or Southern Pacific to the black locomotive or
Harvard to Narcissus to Woodlawn to the
daisychain or grave,
who demanded sanity trials accusing the radio of hyp
notism & were left with their insanity & their
hands & a hung jury,
who threw potato salad at CCNY lecturers on Dadaism
and subsequently presented themselves on the
granite steps of the madhouse with shaven heads
and harlequin speech of suicide, demanding in-
stantaneous lobotomy,
and who were given instead the concrete void of insulin
Metrazol electricity hydrotherapy psycho-
therapy occupational therapy pingpong &
amnesia,
who in humorless protest overturned only one symbolic
pingpong table, resting briefly in catatonia,
returning years later truly bald except for a wig of
blood, and tears and fingers, to the visible mad
man doom of the wards of the madtowns of the
East,
Pilgrim State’s Rockland’s and Greystone’s foetid
halls, bickering with the echoes of the soul, rock-
ing and rolling in the midnight solitude-bench
dolmen-realms of love, dream of life a night-
mare, bodies turned to stone as heavy as the
moon,
with mother finally ******, and the last fantastic book
flung out of the tenement window, and the last
door closed at 4. A.M. and the last telephone
slammed at the wall in reply and the last fur-
nished room emptied down to the last piece of
mental furniture, a yellow paper rose twisted
on a wire hanger in the closet, and even that
imaginary, nothing but a hopeful little bit of
hallucination
ah, Carl, while you are not safe I am not safe, and
now you’re really in the total animal soup of
time
and who therefore ran through the icy streets obsessed
with a sudden flash of the alchemy of the use
of the ellipse the catalog the meter & the vibrat-
ing plane,
who dreamt and made incarnate gaps in Time & Space
through images juxtaposed, and trapped the
archangel of the soul between 2 visual images
and joined the elemental verbs and set the noun
and dash of consciousness together jumping
with sensation of Pater Omnipotens Aeterna
Deus
to recreate the syntax and measure of poor human
prose and stand before you speechless and intel-
ligent and shaking with shame, rejected yet con-
fessing out the soul to conform to the rhythm
of thought in his naked and endless head,
the madman bum and angel beat in Time, unknown,
yet putting down here what might be left to say
in time come after death,
and rose reincarnate in the ghostly clothes of jazz in
the goldhorn shadow of the band and blew the
suffering of America’s naked mind for love into
an eli eli lamma lamma sabacthani saxophone
cry that shivered the cities down to the last radio
with the absolute heart of the poem of life butchered
out of their own bodies good to eat a thousand
years.
II
What sphinx of cement and aluminum bashed open
their skulls and ate up their brains and imagi-
nation?
Moloch! Solitude! Filth! Ugliness! Ashcans and unob
tainable dollars! Children screaming under the
stairways! Boys sobbing in armies! Old men
weeping in the parks!
Moloch! Moloch! Nightmare of Moloch! Moloch the
loveless! Mental Moloch! Moloch the heavy
judger of men!
Moloch the incomprehensible prison! Moloch the
crossbone soulless jailhouse and Congress of
sorrows! Moloch whose buildings are judgment!
Moloch the vast stone of war! Moloch the stun-
ned governments!
Moloch whose mind is pure machinery! Moloch whose
blood is running money! Moloch whose fingers
are ten armies! Moloch whose breast is a canni-
bal dynamo! Moloch whose ear is a smoking
tomb!
Moloch whose eyes are a thousand blind windows!
Moloch whose skyscrapers stand in the long
streets like endless Jehovahs! Moloch whose fac-
tories dream and croak in the fog! Moloch whose
smokestacks and antennae crown the cities!
Moloch whose love is endless oil and stone! Moloch
whose soul is electricity and banks! Moloch
whose poverty is the specter of genius! Moloch
whose fate is a cloud of sexless hydrogen!
Moloch whose name is the Mind!
Moloch in whom I sit lonely! Moloch in whom I dream
Angels! Crazy in Moloch! Cocksucker in
Moloch! Lacklove and manless in Moloch!
Moloch who entered my soul early! Moloch in whom
I am a consciousness without a body! Moloch
who frightened me out of my natural ecstasy!
Moloch whom I abandon! Wake up in Moloch!
Light streaming out of the sky!
Moloch! Moloch! Robot apartments! invisible suburbs!
skeleton treasuries! blind capitals! demonic
industries! spectral nations! invincible mad
houses! granite cocks! monstrous bombs!
They broke their backs lifting Moloch to Heaven! Pave-
ments, trees, radios, tons! lifting the city to
Heaven which exists and is everywhere about
us!
Visions! omens! hallucinations! miracles! ecstasies!
gone down the American river!
Dreams! adorations! illuminations! religions! the whole
boatload of sensitive bullshit!
Breakthroughs! over the river! flips and crucifixions!
gone down the flood! Highs! Epiphanies! De-
spairs! Ten years’ animal screams and suicides!
Minds! New loves! Mad generation! down on
the rocks of Time!
Real holy laughter in the river! They saw it all! the
wild eyes! the holy yells! They bade farewell!
They jumped off the roof! to solitude! waving!
carrying flowers! Down to the river! into the
street!
III
Carl Solomon! I’m with you in Rockland
where you’re madder than I am
I’m with you in Rockland
where you must feel very strange
I’m with you in Rockland
where you imitate the shade of my mother
I’m with you in Rockland
where you’ve murdered your twelve secretaries
I’m with you in Rockland
where you laugh at this invisible humor
I’m with you in Rockland
where we are great writers on the same dreadful
typewriter
I’m with you in Rockland
where your condition has become serious and
is reported on the radio
I’m with you in Rockland
where the faculties of the skull no longer admit
the worms of the senses
I’m with you in Rockland
where you drink the tea of the breasts of the
spinsters of Utica
I’m with you in Rockland
where you pun on the bodies of your nurses the
harpies of the Bronx
I’m with you in Rockland
where you scream in a straightjacket that you’re
losing the game of the actual pingpong of the
abyss
I’m with you in Rockland
where you bang on the catatonic piano the soul
is innocent and immortal it should never die
ungodly in an armed madhouse
I’m with you in Rockland
where fifty more shocks will never return your
soul to its body again from its pilgrimage to a
cross in the void
I’m with you in Rockland
where you accuse your doctors of insanity and
plot the Hebrew socialist revolution against the
fascist national Golgotha
I’m with you in Rockland
where you will split the heavens of Long Island
and resurrect your living human Jesus from the
superhuman tomb
I’m with you in Rockland
where there are twenty-five-thousand mad com-
rades all together singing the final stanzas of the Internationale
I’m with you in Rockland
where we hug and kiss the United States under
our bedsheets the United States that coughs all
night and won’t let us sleep
I’m with you in Rockland
where we wake up electrified out of the coma
by our own souls’ airplanes roaring over the
roof they’ve come to drop angelic bombs the
hospital illuminates itself imaginary walls col-
lapse O skinny legions run outside O starry
spangled shock of mercy the eternal war is
here O victory forget your underwear we’re
free
I’m with you in Rockland
in my dreams you walk dripping from a sea-
journey on the highway across America in tears
to the door of my cottage in the Western night
Traduzione in Italiano
a Carl Solomon
I
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters1 dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto2 celeste con la din-amo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi ínfossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz,
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated3 e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette4
che passavano per le università con freddi occhi radiosi allucinati di Arkansas e tragedie blakiane fra gli eruditi della guerra,
che venivano espulsi dalle accademie come pazzi & per aver pubblicato odi oscene sulle finestre del teschio5
che si accucciavano in mutande in stanze non sbarbate, bruciando denaro nella spazzatura e ascoltando il Terrore attraverso il muro,
che erano arrestati nelle loro barbe pubiche ritornando da Laredo6 con una cintura di marijuana per New York,
che mangiavano fuoco7 in alberghi vernice8 o bevevano trementina nello Paradise Alley9, morte, o notte dopo notte si purgatoratizzavano il torso
con sogni, droghe, incubi di risveglio, alcool e uccello e sbronze10 a non finire,
incomparabili strade cieche di nebbia tremante e folgore mentale in balzi verso i poli di Canada & Paterson11, illuminando tutto il mondo immobile del Tempo in mezzo,
solidità Peyota12 di corridoi, albe cimiteri alberi verdi retro cortili, sbronze di vino sopra i tetti, rioni di botteghe in gioiose corse drogate neon balenio di semafori, vibrazioni di sole e luna e alberi nei rombanti crepuscoli invernali di Brooklyn, fracasso di pattumiere e dolce regale luce della mente,
che si incatenavano ai subways13 in corse interminabili dal Battery14 al santo Bronx15 pieni di simpamina finché lo strepito di ruote e bambini li faceva scendere tremanti a bocca pesta e scassati stremati nella mente svuotata di fantasia nella luce desolata dello Zoo16,
che affondavano tutta la notte nella luce sottomarina di Bickford17 fluttuavano fuori e passavano un pomeriggio di birra svanita nel desolato Fugazzi18 ascoltando lo spacco del destino al jukebox all’idrogeno,
che parlavano settanta ore di seguito dal parco alla stanza al bar a Bellevut19 al museo al ponte di Brooklyn,
schiera perduta di conversatoci platonici precipiti dai gradini d’ingresso dalle scale di sicurezza dai davanzali dall’Empire State20 giú dalla luna,
farfugliando strillando vomitando sussurrando fatti e ricordi e aneddoti e sensazioni ottiche e shocks di ospedali e carceri e guerre,
intieri intelletti rigurgitati in un richiamo totale per sette giorni e notti con occhi brillanti, carne da Sinagoga sbattuta per terra,
che svanivano nel nulla Zen New Jersey21 lasciando una scia di ambigue cartoline del Municipio di Atlantic City22,
straziati da sudori Orientali e scricchiolii d’ossa Tangerini e emicranie Cinesi nel rientro dalla streppa in una squallida stanza mobiliata di Newark23,
che giravano e giravano a mezzanotte tra i binari morti chiedendosi dove andare, e andavano, senza lasciare cuori spezzati,
che accendevano sigarette in carri merci carri merci carri merci strepitanti nella neve verso fattorie solitarie nella notte dei nonni,
che studiavano Plotino Poe Sangiovanni della Croce telepatia e cabala del bop24 perché il cosmos vibrava istintivamente ai loro piedi nel Kansas,
che stavano soli per le strade dello Idaho in cerca di visionari angeli indiani che erano visionari angeli indiani,
che credevano di essere soltanto matti quando Baltimore luccicava in un’estasi soprannaturale,
che sobbalzavano in limousine col Cinese dell’Oklahoma sotto l’impulso di inverno mezzanotte luce stradale provincia pioggia,
che indugiavano affamati e soli a Houston25 in cerca di jazz o sesso o minestra, e seguivano il brillante Spagnolo per chiacchierare sull’America e l’Eternità, causa persa, e così si imbarcavano per l’Africa,
che scomparivano nei vulcani del Messico non lasciando che l’ombra dei jeans26 e la lava e ceneri di poesia sparse nella Chicago caminetto27,
che riapparivano sulla West Coast indagando sul F.B.I. barbuti e in calzoncini con grandi occhi pacifisti sexy nella pelle scura distribuendo volantini incomprensibili,
che si bucavano le BRaccia con sigarette protestando contro la nebbia di tabacco narcotico del Capitalismo,
che diffondevano manifesti Supercomunisti in Union Square28 piangendo e spogliandosi mentre le sirene di Los Alamos29 li zittivano col loro grido, e gridavano giú per Wall30 e anche il ferry di Staten Island31 gridava,
che crollavano piangendo in palestre bianche nudi o tremanti davanti al macchinario di altri scheletri,
che mordevano i poliziotti nel collo e strillavano di felicità nelle camionette per non aver commesso altro delitto che la loro intossicazione e pederastia pazza32 tra amici,
che urlavano in ginocchio nel subway e venivano trascinati dal tetto sventolando genitali e manoscritti,
che si lasciavano inculare da motociclisti beati, e strillavano di gioia,
che si scambiavano pompini con quei serafini umani, i marinai, carezze di amore Atlantico e Caribbeo,
che scopavano la mattina la sera in giardini di rose e sull’erba di parchi pubblici e cimiteri spargendo il loro seme liberamente su chiunque venisse,
che gli veniva un singhiozzo interminabile cercando di ridacchiare ma finivano con un singhiozzo dietro un tramezzo dei Bagni Turchi quando l’angelo biondo & nudo veniva a trafiggerli con una spada,
che perdevano i loro ragazzi d’amore per le tre vecchie streghe del fato la strega guercia del dollaro eterosessuale33 la strega guercia che strizza l’occhio dal grembo34 e la strega guercia che sta li piantata sul culo a spezzare i fili d’oro intellettuali del telaio artigianale,
che copulavano estatici e insaziati con una bottiglia di birra un amante un pacchetto di sigarette una candela e cadevano dal letto, e continuavano sul pavimento e giú per il corridoio e finivano svenuti contro il muro con una visione di fica suprema e sperma eludendo l’ultima sbora della coscienza,
che addolcivano le fiche di milioni di ragazze tremanti al tramonto, e avevano gli occhi rossi la mattina ma pronti ad addolcire la fica dell’alba, natiche lampeggianti sotto i granai e nude nel lago,
che andavano a puttane nel Colorado in miriadi di macchine notturne rubate, N.C.35, eroe segreto di queste poesie, mandrillo e Adone di Denver – gioia alla memoria delle sue innumerevoli scopate di ragazze in terreni abbandonati & retrocortili di ristoranti per camionisti36, in poltrone traballanti di vecchi cinema, su cime di montagna in caverne o con cameriere secche in strade familiari sottane solitarie alzate & solipsismi particolarmente segreti nei cessi dei distributori di benzina, & magari nei vicoli intorno a casa,
che dissolvevano37 in grandi cinema luridi, si spostavano in sogno, si svegliavano su una Manhattan improvvisa, e si tiravano su da incubi di cantine ubriachi di Tokay spietato e da orrori di sogni di ferro della Terza Strada38 & inciampavano verso l’Uffício Assistenza,
che camminavano tutta la notte con le scarpe piene di sangue su moli coperti di neve aspettando che una porta sullo East River si aprisse su una stanza piena di vapore caldo e di oppio,
che creavano grandi drammi suicidi in appartamenti a picco sullo Hudson sotto azzurri fasci antiaerei di luce lunare & le loro teste saranno incoronate di alloro nell’oblio,
che mangiavano stufato d’agnello dell’immaginazione o ingoiavano rospi nel fondo fangoso dei fiumi di Bowery39,
che piangevano sulle strade romantiche coi carretti pieni di cipolle e musica scassata40,
che sedevano in casse respirando al buio sotto il ponte, e si alzavano per fare clavicembali nelle loro soffitte,
che tossivano al sesto piano di Harlem41 incoronati di fiamme sotto il cielo tubercolare circondati da teologia in cassette da frutta42,
che scarabocchiavano tutta la notte in un rock and roll su incantesimi da soffitta destinati a diventare nella mattina giallastra strofe di assurdo,
che cuocevano animali marci polmoni cuori code zampe borsht43 & tortillas44 sognando il puro reame vegetale,
che si buttavano sotto furgoni di carne in cerca di un uovo,
che buttavano orologi dal tetto per gettare il loro voto all’Eternità fuori del Tempo, & per un decennio dopo le sveglie cadevano ogni giorno sul loro capo,
che si tagliavano i polsi tre volte di seguito senza seguito, rinunciavano ed erano costretti ad aprire negozi di antiquariato dove credevano di invecchiare e piangevano,
che venivano arsi vivi nei loro innocenti vestiti di flanella sulla Madison Avenue45 tra esplosioni di versi di piombo e il frastuono artificiale dei ferrei reggimenti della moda & gli strilli alla nitroglicerina dei finocchi della pubblicità & l’iprite di sinistri redattori intelligenti, o venivano investiti dai taxi ubriachi della Realtà Assoluta,
che si buttavano dal ponte di Brooklyn questo è successo davvero e se ne andavano sconosciuti e dimenticati tra la foschia spettrale di Chinatown minestra vicoli & autopompe46, neanche una birra gratis,
che cantavano disperati dalle finestre, cadevano dal finestrino del subway, si buttavano nello sporco Passaic47, saltavano su negri, piangevano lungo tutta la strada, ballavano scalzi su bicchieri rotti spaccavano nostalgici dischi Europei di jazz tedesco del ‘3048 finivano il whisky e vomitavano rantolando nel cesso insanguinato, nelle loro orecchie gemiti e l’esplosione di colossali sirene,
che rotolavano giú per le autostrade del passato andando l’un l’altro verso l’hotrod-Golgotha49 di veglia solitudine-prigione o l’incarnazione del jazz di Birmingham50,
che guidavano est-ovest settantadue ore per sapere se io avevo una visione o tu avevi una visione o lui aveva una visione per scoprire l’Eternità,
che andavano a Denver51, che morivano a Denver, che ritornavano a Denver & aspettavano invano, che vegliavano a Denver & meditavano senza compagni a Denver e infine se ne andavano per scoprire il Tempo, & ora Denver ha nostalgia dei suoi eroi,
che cadevano in ginocchio in cattedrali senza speranze pregando per l’un l’altro salvezza e luce e seni, finché l’anima si illuminava i capelli per un attimo,
che si sfondavano il cervello in prigione aspettando criminali impossibili dalla testa bionda e il fascino della realtà nei loro cuori che cantavano dolci blues a Alcatraz52,
che si ritiravano in Messico per conservarsi alla droga, o a Rocky Mount per il tenero Buddha o a Tangeri a ragazzini o alla Southern Pacific53 per la locomotiva nera o a Harvard54 o a Narciso o a Woodlawn55 alle orge56 o la fossa, che chiedevano prove di infermità mentale accusando la radio di ipnotismo & venivano lasciati con la loro pazzia & le loro mani & una giuria incerta,
che al CCNY57 buttavano patate in insalata ai conferenzieri sul Dadaismo58 e poi si presentavano sui gradini di pietra del manicomio con teste rapate e discorsi arlecchineschi di suicidio, chiedendo un’immediata lobotomia59,
e invece venivano sottoposti al vuoto concreto o insulina metrasol elettricità idroterapia psicoterapia terapia educativa ping pong e amnesia60,
che in malinconica protesta rovesciavano un unico simbolico tavolo da ping pong, riposando un poco in catatonia61,
ritornando anni dopo proprio calvi eccetto una parrucca di sangue, e lacrime e dita, al visibile destino da pazzo delle corsie delle città-manicomio dell’Est,
fetidi corridoi di Pilgrim State Rockland e Greystone62, litigando con gli echi dell’anima, rockrollando nella mezzanotte solitudine63-panca dolmen64- reami dell’amore, sogno della vita un incubo, corpi ridotti pietra pesanti come la luna,
con mamma finalmente…65, e l’ultimo libro fantastico scaraventato dalla finestra, e l’ultima porta chiusa alle 4 del mattino e l’ultimo telefono sbattuto in risposta contro il muro e l’ultima stanza ammobiliata svuotata fino all’ultimo pezzo di mobilia mentale, una rosa di carta gialla attorcigliata su una gruccia di fil di ferro nell’armadio, e perfino essa immaginaria, nient’altro che un pezzetto di speranza nell’allucinazione –
ah, Carl, mentre tu non sei al sicuro io non sono al sicuro, e ora sei davvero nel totale brodo animale66 del tempo –
e che dunque correvano per le strade gelate ossessionati da un lampo improvviso dell’alchimia dell’uso dell’ellisse il catalogo il metro & i piani vibranti,
che sognavano e facevano abissi incarnati nel Tempo & lo Spazio mediante immagini contrapposte, e intrappolavano l’arcangelo dell’anima tra 2 immagini visive e univano i verbi elementari e sistemavano insieme il sostantivo e il trattino della coscienza sobbalzando alla sensazione del Pater Omnipotens Aeterni Deus per ricreare la sintassi e la misura della povera prosa umana e fermarvici di fronte muti e intelligenti e tremanti di vergogna, ripudiati ma con anima confessa per conformarsi al ritmo del pensiero nella sua testa nuda e infinita,
il pazzo vagabondo e angelo battuto67 nel Tempo, sconosciuto, ma dicendo qui ciò che si potrebbe lasciar da dire nel tempo dopo la morte,
e si alzavano reincarnati nei vestiti spettrali del jazz all’ombra tromba d’oro della banda e suonavano la sofferenza per amore della nuda mente d’America in un urlo di sassofono elai elai lamma lamma sabacthani che faceva tremare le città fino all’ultima radio
col cuore assoluto della poesia della vita macellato dai loro corpi buono da mangiare per mille anni.
II
Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha sfracellato il cranio e’ gli ha divorato il cervello e l’immaginazione?
Moloch68! Solitudine! Lerciume! Schifezza! Spazzatura e dollari inafferrabili! Bambini che strillano nei sottoscala! Ragazzi che singhiozzano negli eserciti! Vecchi che piangono nei parchi!
Moloch! Moloch! Incubo di Moloch! Moloch spietato! Moloch mentale! Moloch duro giudice di uomini!
Moloch prigione incomprensibile! Moloch galera teschio di morte senz’anima e Congresso di dolori! Moloch i cui edifici sono sentenze! Moloch vasta pietra di guerra! Moloch governi stupefatti!
Moloch la cui mente è puro macchinario Moloch il cui sangue è denaro che scorre! Moloch le cui dita sono dieci eserciti! Moloch il cui petto e una dinamo cannibale! Moloch il cui orecchio è una tomba fumante!
Moloch i cui occhi sono mille finestre cieche! Moloch i cui grattacieli sorgono in lunghe strade come Jehovah senza fine! Moloch le cui fabbriche sognano e gracchiano nella nebbia! Moloch le cui ciminiere e antenne incoronano le città!
Moloch il cui amore è petrolio e pietra senza fine! Moloch la cui anima è elettricità e banche! Moloch la cui povertà è lo spettro del genio! Moloch la cui sorte è una nube di idrogeno asessuale! Moloch il cui nome è la Mente!
Moloch in cui mi siedo solo! Moloch in cui sogno Angeli! Pazzo in Moloch! Rotto in culo in Moloch! Senza amore e castrato in Moloch!
Moloch che mi è entrato presto nell’anima! Moloch in cui sono una coscienza senza corpo! Moloch che mi ha fatto uscire spaventato dalla mia estasi naturale! Moloch che io abbandono! Svegliatevi in Moloch! Luce che cade dal cielo!
Moloch! Moloch! Appartamenti robot! sobborghi invisibili! tesori di scheletri! capitali cieche! industrie diaboliche! nazioni spettrali! manicomi invincibili! cazzi di granito! bombe mostruose!
Si sono rotti la schiena innalzando Moloch al Cielo! Strade, alberi, radio, tonnellate! innalzando la città al Cielo che esiste e ci circonda!
Visioni! profezie! allucinazioni! miracoli! estasi! alla deriva sul fiume americano!
Sogni! adorazioni! illuminazioni! religioni! l’intero carico di coglionerie da raffinati!
Sfondamenti! al di là del fiume! salti e crocifissioni! giù nella piena! Drogati! Epifanie! Disperazioni! Dieci anni di urli da bestie e suicidi! Menti! Nuovi amori! Generazione pazza! giù sulle rocce del Tempo!
Vere risate sante nel fiume! Han visto tutto quanto! gli occhi stravolti! le sante grida! Hanno detto addio! Si sono buttati dal tetto! verso la solitudine! salutando! portando fiori! Giù nel fiume! nella strada!
III
Carl Solomon! Sono con te a Rockland69
dove sei più matto di me
Sono con te a Rockland
dove certo ti senti molto strano
Sono con te a Rockland
dove imiti l’ombra di mia madre
Sono con te a Rockland
dove hai assassinato le tue dodici segretarie
Sono con te a Rockland
dove ridi a questo humor invisibile
Sono con te a Rockland
dove siamo grandi scrittori sulla stessa terribile macchina da scrivere
Sono con te a Rockland
dove le tue condizioni si sono aggravate e se ne parla alla radio
Sono con te a Rockland
dove le facoltà del cranio non ammettono più i vermi dei sensi
Sono con te a Rockland
dove tu bevi tè dal seno delle zitelle di Utica70
Sono con te a Rockland
dove scherzi sui corpi delle infermiere le arpie del Bronx
Sono con te a Rockland
dove in camicia di forza gridi che stai perdendo la partita al vero ping pong dell’abisso
Sono con te a Rockland
dove pesti sul piano catatonico l’anima è innocente e immortale non dovrebbe morire empiamente in un manicomio armato
Sono con te a Rockland
dove cinquanta altri elettroshocks non restituiranno la tua anima al suo corpo dal pellegrinaggio a una croce nel vuoto
Sono con te a Rockland
dove accusi i dottori di pazzia e complotti la rivoluzione socialista Ebraica contro il Golgotha nazionale fascista
Sono con te a Rockland
dove spaccherai i cieli di Long, Island e risusciterai il tuo vivente Gesù umano dalla tomba sovrumana
Sono con te a Rockland
dove venticinquemila compagni pazzi tutti insieme cantano le ultime strofe dell’Internazionale
Sono con te a Rockland
dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti sotto le lenzuola gli Stati Uniti che tossiscono tutta la notte e non ci lasciano dormire
Sono con te a Rockland
dove ci svegliamo dal coma elettrizzati dagli aeroplani delle nostre anime che rombano sul tetto sono venuti a buttare bombe angeliche l’ospedale si illumina muri immaginari precipitano O scarne legioni correte fuori O shock stellato di misericordia è giunta la guerra eterna O vittoria non badare alle mutande siamo liberi
Sono con te a Rockland
nei miei sogni arrivi in lacrime gocciolante dalla crociera della traversata in autostrada dell’America fino alla porta del mio cottage nella notte dell’Ovest71
San Francisco, 1955-56
Allen Ginsberg
Alejandro Jodorowsky
10 Ricette Per Essere Felici
Come potrei definire in termini positivi la felicità? Questo concetto, astratto fino al midollo, è impossibile descriverlo totalmente. Per farlo devo aggirare l’ombra che incorpora il concetto. Ed ecco la definizione: “Felicità è essere ogni giorno meno angosciati”. Posso tentare di offrire qualche consiglio senza essere giudicato un illuso.
1. Quando dubiti se agire, tra fare e non fare, scegli di fare. Se sbaglierai ti sarai fatto almeno una esperienza.
2. Ascolta di più il tuo intuito che la tua ragione. Le parole forgiano la realtà ma non sono la realtà.
3. Realizza un sogno di quando eri bambino. Per esempio, se volevi giocare e ti hanno reso adulto troppo in fretta, risparmia 500 euro e vai a giocare a un casinò fino a perderli. Se vinci, continua a giocare. Se continui a guadagnare, anche se sono milioni, continua a giocare finché perderai tutto. Non si tratta di guadagnare, ma di giocare senza finalità.
4. Non c’è tranquillità migliore che cominciare ad essere ciò che si è. Sin dall’infanzia veniamo proiettati in destini sconosciuti. Non siamo al mondo per realizzare i sogni dei nostri genitori, ma i nostri sogni. Se sei un cantante e non un avvocato come tuo padre, abbandona giurisprudenza e incidi un disco.
5. Oggi stesso smetti di criticare il tuo corpo. Accettalo com’è senza preoccuparti degli sguardi altrui. Non ti amano perché sei bella. Sei bella perché ti amano!
6. Una volta alla settimana insegna gratuitamente agli altri il poco o il tanto che sai. Ciò che dai agli altri lo dai a te stesso. Ciò che non dai agli altri lo neghi a te stesso.
7. Cerca nel giornale tutti i giorni una buona notizia. E’ difficile trovarla. Però, in mezzo agli avvenimenti nefasti, ce n’è sempre una, anche se impercettibile. Si è scoperta una nuova razza di uccelli, le comete trasportano vita, o un bambino che è caduto dal quinto piano senza farsi male; che la figlia di un presidente tentò di suicidarsi nell’oceano e fu salvata da un operaio del quale si innamorò e si sposarono; che i giovani poeti cileni bombardarono, con 300.000 poesie scagliate da un elicottero, La Moneda, dove fu eliminato Allende, etc.
8. Se i tuoi genitori hanno abusato di te quando eri piccolo parla loro con calma, in un luogo neutrale che non sia il loro territorio, sviluppando quattro concetti: – Questo è ciò che mi avete fatto – Questo è ciò che ho sentito. – Questo è ciò che oggi a causa di quello che è successo sto soffrendo – E questa è la restituzione che chiedo! Il perdono senza restituzione non serve.
9. Anche se hai una famiglia numerosa, autorizzati ad avere un territorio personale dove nessuno può entrare senza il tuo permesso.
10. Smetti di definirti. Concediti tutte le possibilità di essere,cambia strada ogni volta che lo senti necessario.
Alejandro Jodorowsky
Gabriel García Márquez
13 Spunti per la vita
1 -Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.
2 -Nessuna persona merita le tue lacrime, e chi le merita sicuramente non ti farà piangere.
3 -Il fatto che una persona non ti ami come tu vorresti non vuol dire che non ti ami con tutta se stessa.
4 -Un vero amico è chi ti prende per la mano e ti tocca il cuore.
5 -Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l’avrai mai.
6 -Non smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi potrebbe innamorarsi del tuo sorriso.
7 -Forse per il mondo sei solo una persona, ma per qualche persona sei tutto il mondo.
8 -Non passare il tempo con qualcuno che non sia disposto a passarlo con te.
9 -Forse Dio vuole che tu conosca molte persone sbagliate prima di conoscere la persona giusta, in modo che, quando finalmente la conoscerai, tu sappia essere grato.
10-Non piangere perché qualcosa finisce, sorridi perché è accaduta.
11-Ci sarà sempre chi ti critica, l’unica cosa da fare è continuare ad avere fiducia, stando attento a chi darai fiducia due volte.
12-Cambia in una persona migliore e assicurati di sapere bene chi sei prima di conoscere qualcun’altro e aspettarti che questa persona sappia chi sei.
13-Non sforzarti tanto, le cose migliori accadono quando meno te le aspetti.
Gabriel García Márquez
Papa Giovanni XXIII
Solo per oggi
1) Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta.
2) Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso.
3) Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo.
4) Solo per oggi mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei desideri.
5) Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così il silenzio e l’ascolto sono necessari alla vita dell’anima.
6) Solo per oggi, compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.
7) Solo per oggi mi farò un programma: forse non lo seguirò perfettamente, ma lo farò. E mi guarderò dai due malanni: la fretta e l’indecisione.
8) Solo per oggi saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che l’esistenza si prende cura di me come nessun altro al mondo.
9) Solo per oggi non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nell’Amore.
10) Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita.
Papa Giovanni XXIII
Constantinos Kavafis
E se non puoi la vita che desideri
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Constantinos Kavafis
Nelson Mandela
La meditazione
La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? ”
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela
Rudyard Kipling
Se
Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall’odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;
Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;
Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: “Tieni duro!”.
Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l’amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni minuto che passa,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E – quel che è di più – sei un Uomo, figlio mio!
Rudyard Kipling
Richard Bach
Il Gabbiano Jonathan Livingston
E per lui, mettere in pratica l’amore voleva dire rendere partecipe della verità da lui appresa, conquistata, qualche altro gabbiano che a quella stessa verità anelasse. (…)
Lui parlava di cose molto semplici. Diceva che è giusto che un gabbiano voli, essendo nato per la libertà, e che è suo dovere lasciar perdere e scavalcare tutto ciò che intralcia, che si oppone alla sua libertà, vuoi superstizioni, vuoi antiche abitudini, vuoi qualsiasi altra forma di schiavitù. (…)
“Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora… imparerai come si vola.” (…
Vi dovete render conto che un gabbiano è fatto a immagine del Grande Gabbiano, è un’infinita idea di libertà, senza limite alcuno, e il vostro corpo, da una punta dell’ala a quell’altra, altro non è che un grumo di pensiero. (…)
Richard Bach
Hermann Hesse
Canzone di viaggio
Sole illumina il mio cuore,
vento disperdi le mie pene e i miei lamenti!
Piacere più profondo non conosco sulla terra
se non di andare lontano.
Per la pianura seguo il mio corso,
il sole deve ardermi, il mare rinfrescarmi
per condividere la vita della nostra terra
dischiudo festoso i miei sensi.
E così ogni nuovo giorno mi deve
nuovi amici, nuovi fratelli indicare,
finché lieto posso tutte le forze celebrare,
e di ogni stella diventare ospite e amico.
Hermann Hesse