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Giulio Bolacchi


Ho fatto l’Università a Cagliari negli anni novanta. Cagliari era una fantastica città per studenti universitari in quegli anni. La spiaggia del Poetto per pause pranzo di fronte al mare, una vivace vita culturale, colorati e creativi circoli Aics ovunque con cibo alla portate delle tasche vuote di studenti, tasse universitarie praticamente inesistenti, generosi contributi regionali alle attività extra accademiche e alle associazioni studentesche che io sfruttavo allegramente, etc. Unico “piccolo” difetto era l’Università, una delle peggiori d’Italia. In particolare, la Facoltà di Economia, dove studiavo, che associava alla carenza di infrastrutture, didattica, internazionalizzazione, ricerca, rapporti con le imprese tipiche di una facoltà del Sud Italia, anche un’immotivata severità del corpo docente e una difficoltà estrema nel superare gli esami. Mediamente gli esami avevano un volume doppio o triplo di quelli della Bocconi. Non a caso la facoltà aveva il non invidiabile primato di essere la facoltà di Economia europea in cui era necessario in media impiegare più tempo per laurearsi: 8,4 anni.

I docenti erano per lo più svogliati, impreparati, irrilevanti in ambito internazionale e privi di capacità didattiche. La sola ragione di molti di occupare impropriamente cattedre era di natura politica e/o nepotistica.  Ricordo che per la mia tesi, che poi venne pubblicata e vendette oltre 4000 copie (non poche per un saggio di Economia Monetaria) e fu inserita nella bibliografia consigliata dal Professor Stefano Zamagni dell’Università di Bologna e fu base di un progetto di studio della Banca Centrale Europea, presi solo 3 punti (il minimo) al mio esame di laurea. Il mio relatore la giudicò “troppo eterodossa”. La facoltà era un disastro nel suo insieme, ma c’erano aspetti tra il surreale e il situazionismo. Con il Prof di Statistica Economica, per esempio, si faceva lezione all’aperto nel vicino giardino botanico di fronte a un’antica cisterna romana e usando come appoggio della lavagna portatile una scultura di Pinuccio Sciola.

Scopro ora che, pochi giorni fa, è morto a 94 anni Giulio Bolacchi, il mio vecchio professore di Sociologia e di Psicologia Sociale. Si faceva lezione il venerdì sera, dopo l’orario di chiusura delle facoltà, nella Biblioteca di Giurisprudenza. L’orario di inizio e fine era flessibile, ma si finiva sempre a notte fonda. Ci si sedeva intorno a un lungo tavolo e, accerchiati da polverosi vecchi libri di diritto, si parlava di scienza e senso comune, paradigmi conoscitivi, metodi sperimentali (da Galileo a Popper), democrazia, comportamentismo (Skinner su tutti), linguaggio, potere e classi sociali, fenomenologia, dualismo uomo-natura e tanto altro. Ogni “lezione” era una lunghissima chiacchierata/confronto e il voto finale era corrispondente alla partecipazione, meglio se critica, a questi incontri di studio.

Il professor Bolacchi era un filosofo della scienza. Di formazione comportamentistica, era un fautore dell’unificazione delle scienze sociali e ha cercato di rivoluzionare il modo di guardare le scienze sociali con la sua Teoria degli Interessi, un modello che unisce economia, psicologia e sociologia in un unico linguaggio scientifico. La sua idea di fondo? Ogni interazione umana è fatta di coinvolgimento positivo (cooperazione) e coinvolgimento negativo (conflitto), e capirle permette di leggere meglio la società, l’economia e la politica.

Bolacchi non si limitava alla teoria: sosteneva che il comportamento umano dovesse essere studiato con metodo scientifico rigoroso, come nelle scienze naturali. Così le dinamiche sociali diventano osservabili, prevedibili e comprensibili. Con una visione che supera i confini tra le discipline, il suo pensiero offre strumenti concreti per comprendere e gestire i rapporti tra persone e gruppi, con applicazioni in politica, educazione, economia e organizzazione sociale. Bolacchi sosteneva che molte problematiche sociali e politiche erano in realtà “falsi problemi” creati da una visione distorta della realtà. La Teoria degli Interessi, al contrario, permetteva di analizzare queste dinamiche in modo oggettivo, riconoscendo l’errore insito nelle posizioni personali e opinabili.

Il metodo scientifico di Bolacchi, di ispirazione galileiana e darwiniana, era una risposta alla cultura soggettiva e conflittuale. Fondamentalmente Bolacchi proponeva un paradigma metodologico che mirava a rifondare le scienze sociali su basi rigorose e sperimentali, per una comprensione più lucida e meno soggettiva del comportamento umano e delle sue interazioni. Il suo paradigma lo assimilavi e interiorizzavi lentamente, ma poi rimaneva in te oltre a una sterile memorizzazione e potevi utilizzarlo in molteplici occasioni. In molti di noi ha fatto nascere e/o sviluppare la passione per il conoscere e per il fare, il cercare di volare alto, il vivere nel dubbio costante, il distinguersi dalla superficialità.

Odiava i “praticamente”, i “non lo so”, i “secondo me” e i ragionamenti “a sacchi” e spronava gli studenti all’adozione di un ragionamento e linguaggio scientifico rigoroso. La lotta contro i “secondo me” era un modo per dare importanza alla logica scientifica contro il senso comune, per privileggiare il metodo sperimentale rispetto all’esperienza soggettiva e anche un modo per valorizzare linguaggio e semantica. Da allora a me ė rimasto il sospetto che chi inizia una frase con “secondo me” stia per dire una coglioneria.

Mi ricordo un trenta in psicologia sociale scritto sul mio libretto alla mezzanotte di un luglio di tanti anni fa. Non condividevo tutti i concetti proposti, in particolare in ambito politico, ma sicuramente quelle sono state le lezioni più importanti del mio periodo universitario. Lezioni che mi hanno fornito un metodo per approcciarsi alla realtà con cui mi sono confrontato negli anni a seguire. Anche nelle più piccolo cose, un approccio razionale e scientifico mi ha aiutato a fare le scelte migliori.

Grazie, Prof. Bolacchi. Forse la Facoltà di Economia di Cagliari degli anni novanta non era tutta da buttare.